La Corea sta influenzando i trend e anche cosa metti nel carrello 🛒
Dalla glass skin a Squid Game fino al K-Pop: ecco come ci stiamo "coreanizzando"
È sera.
Ti prepari a fare skin care e metti il siero alla niacinamide (what?!?)
In cuffia un po’ di K-Pop.
Ordini per cena del pollo fritto.
Ti accomodi sul divano e ti spari due episodi di un drama coreano dove nessuno si bacia fino alla puntata 14, ma tu comunque piangi alla 3.
E nel weekend, con una maschera alla centella asiatica in viso, pensi: “Quasi quasi mi rivedo Squid Game.”
Così dici: “È solo una serie Netflix” e poi ti ritrovi con una wishlist Sephora piena di prodotti coreani dal nome impronunciabile.
Dici: “Voglio solo provare il kimchi” e poi ti iscrivi a un corso di fermentazione e compri le bacchette in bamboo.
La cultura coreana non è solo intrattenimento. È lifestyle.
E ci piace perché è bella, ordinata, emozionante, delicata ma d’impatto.
La Corea ha fatto quello che ogni brand sogna: diventare un’abitudine quotidiana.
Possiamo dirlo?
Siamo ufficialmente nell’era coreana.
🤌 Ma com’è che siamo finiti così dentro una cultura che fino a 10 anni fa sembrava lontana?
Negli ultimi dieci anni, la Corea ha smesso di essere “laggiù in un luogo lontano lontanissimo” ed è diventata il centro culturale di riferimento per una generazione intera.
Non è solo questione di hype. È una strategia ben precisa, che ha un nome: “Hallyu”.
Un neologismo composto da "Han" (coreano) e "ryu" (onda), onda coreana.
Il termine indica la crescente popolarità della cultura di massa sudcoreana a livello globale, iniziata negli anni '90. Al suo interno ci sono fenomeni come la musica K-pop, i drama coreani, il cinema, il cibo, la moda e la cosmetica.
Insomma, una vera e propria esportazione culturale, supportata dallo Stato, che ha trasformato la musica, la bellezza e il cinema in strumenti di soft power.
E così, mentre pensavamo di essere solo “curiosi”, abbiamo iniziato a consumare prodotti coreani.
La Corea, dunque, ci è entrata nella doccia, nell’armadio e nel carrello della spesa.
🍿 Squid Game ci ha mandati fuori di testa
Quando Squid Game è uscita, nel settembre 2021, nessuno si aspettava che una serie coreana potesse diventare il contenuto più visto nella storia di Netflix.
E invece è esplosa. Puff. Così. Di botto.
La serie ha totalizzato 265,2 milioni di visualizzazioni nei primi 91 giorni dalla sua uscita, diventando la serie più vista di sempre su Netflix, superando "Mercoledì" e diventando il più grande successo della piattaforma.
Ad oggi, resta nella top 10 globale di sempre.
TikTok è stato invaso da #SquidGame: milioni di visualizzazioni tra clip, meme, challenge, POV, ricette di dalgona candy e bambole assassine animate.
📺 Ok tutto interessante, ma cosa ha reso Squid Game così irresistibile?
Per prima cosa, l’estetica. Colori iper-saturi, architetture impossibili, costumi iconici. Diciamocela tutta: anche senza audio, lo riconosci. Anche se scrolli, ti fermi.
Poi c’è la trama, semplice ma spietata (no spoiler).
Un gioco. Chi perde, chi muore. Non servono premesse, sottotrame complicate, ci entri subito.
E dentro, c'è una critica sociale potente, ma mai moralista: disuguaglianza, debito, meritocrazia malata. Tutti temi globali che capiamo benissimo anche dal lontano occidente 🇮🇹.
E infine, i personaggi. Non supereroi. Non geni.
Persone normali, con comportamenti disfunzionali, incasinate. Gente che potremmo essere obiettivamente pure noi. Perché no?
👐 Così siamo arrivati a questo:
la serie è diventata virale;
i fan sono diventati community;
la community è diventata mercato.
Vans, dopo che uno dei personaggi indossava le scarpe bianche, ha visto un +7.800% di vendite.
Le maschere e le tute sono diventate il costume di Halloween più venduto nel 2021.
Burger King, Puma, Crocs, KFC hanno tutti creato qualcosa ispirato alla serie.
Netflix ha fatto merchandise, videogame, una serie reality e ora è in arrivo la terza stagione.
Follia? No marketing.
🫧 Vogliamo parlare della skin care coreana?
All’inizio sembrava solo una moda. Un altro trend di TikTok: maschere in tessuto, sieri gocciolanti, mini frigo pieni di boccette pastello.
Poi, piano piano, la K-beauty è entrata nelle nostre giornate. E non ne è più uscita, accidenti.
Ha cambiato il nostro modo di pensare alla pelle: non più da “coprire”, ma da curare, ascoltare, coccolare. Ha trasformato la beauty routine in rituale. Non una cosa che “si fa di fretta”, ma un momento da dedicarti ogni giorno, tutto tuo.
E senza accorgercene, siamo passati da: “Mi metto la crema della Nivea che ho nell’armadietto da chissà quanti anni” a…
“Step 1: detersione oleosa
Step 2: schiumogeno;
Step 3: tonico;
Step 4: siero…”
e prima che tu possa dire “glass skin”, sei già a 10 step ma non hai capito cosa è successo.
✍🏼 La K-beauty non è solo skin care. È storytelling.
Ha portato ingredienti sconosciuti nei nostri scaffali (centella asiatica, bava di lumaca, ginseng rosso), ma soprattutto ha portato una nuova idea di bellezza.
E in questo scenario, un brand su tutti ha saputo trasformare questa filosofia in business: Yepoda.
🧴 Yepoda: il caso studio che ti fa venire voglia di mettere finalmente quella crema
ig: yepoda.it
Yepoda è un brand europeo di K-beauty che ha portato la cultura coreana e l’ha tradotta perfettamente per un pubblico occidentale.
Il brand è partito con un e-commerce e ha costruito una fanbase enorme grazie a un mix preciso di:
packaging minimal ma instagrammabili;
formule coreane genuine e funzionali;
tono di voce leggero e umano.
Nel 2024 ha superato i 65 milioni di euro di fatturato, crescendo del +130% in un anno.
Ma il successo di Yepoda non è solo nei numeri.
È nella capacità di farci sentire bene, anche solo per averci messo quel siero alle 22:47, prima di metterci a letto dopo una giornata storta.
Insomma, hanno capito che il prodotto conta, ma conta ancora di più come ti fa sentire.
🍜 Mangiare coreano è cool
Un giorno qualcuno ha portato a cena il bibimbap e tu hai pensato: “Wow, è un’insalatona con riso ma più bella”.
Poi è arrivato il pollo fritto coreano, che fa croc-croc e picca pure.
Poi il kimchi, che non hai capito immediatamente cos’è, ma ora usi pure nel toast.
A un certo punto, senza fare troppo rumore, il cibo coreano è diventato il nuovo food porn.
E la verità è che oggi mangiare coreano è cool.
🥢 Perché ci piace così tanto?
Perché è buono. Ma anche bello.
Perché è intenso ma ordinato, piccante ma armonico.
Perché è perfetto per TikTok, per un reel POV, per una cena tra amici.
Il cibo coreano ha tutto quello che oggi funziona: ritualità, estetica, sociabilità.
Ci sono contenuti su TikTok solo dedicati a mangiare pollo fritto coreano con ASMR.
Ci sono Reel che spiegano come mescolare perfettamente il bibimbap.
Ci sono milioni di persone che replicano a casa piatti che non sanno nemmeno pronunciare.
TikTok: john.skim
🎶 E poi c’è il K-pop
@Rolling Stone Italia
Ogni idol è un universo narrativo: look, voce, personalità, messaggi motivazionali, momenti goffi, dietro le quinte studiati per sembrare spontanei.
Le case discografiche sudcoreane (che poi sono agenzie creative a tutti gli effetti) costruiscono i gruppi come si costruiscono i brand.
Con strategia. Con storytelling. Con coerenza.
🪧 È una lezione per il marketing occidentale
Il K-pop ha creato un nuovo modello di fandom. Non più passivo, ma partecipativo.
I fan non si limitano a consumare: generano contenuti, organizzano eventi, fanno attivismo, promuovono i loro artisti come se fossero parte del team marketing.
I BTS, per esempio, sono stati il primo gruppo asiatico a parlare all’ONU.
BLACKPINK è il primo gruppo femminile K-pop ad aver suonato a Coachella.
Ogni post, ogni uscita, ogni singola apparizione produce miliardi di impression organiche.
🍕Spesso la cultura è la strategia più forte
Anche l’Italia ha una cultura che il mondo ci invidia: il cibo, la moda, l’arte, il design, il cinema, la lingua, il lifestyle. Ce l’abbiamo già, sotto il naso.
La Corea ha fatto quello che ogni brand sogna di fare: è diventata rilevante, senza alzare la voce. E ci ha ricordato una cosa importante:
le persone non cercano solo prodotti. Cercano storie da seguire, valori in cui riconoscersi, esperienze da condividere.
È lì che si gioca il vero marketing:
nella capacità di trasformare ciò che vendi in qualcosa che contamina la cultura, che si infila tra le pieghe della vita reale e prende casa nel quotidiano.
Che sia con una crema.
Con una canzone.
O una serie dove rischi la vita se sbagli “un, due, tre, stella”.
Grazie per aver letto fin qui.
Questa è Moka: la newsletter di Marketing Espresso in cui puoi prenderti una pausa per pensare e approfondire il marketing.
Aspettiamo i vostri commenti e alla prossima <3